Vicissitudini tecnico amministrative
Poco sopra abbiamo evidenziato che durante l'Arcipretura di don Lioce subie ancora una volta, sempre a causa di un fulmine, danni consistenti.
In questo paragrafo affrontiamo le incredibili vicissitudini tecniche, burocratiche e amministrative che la riparazione dei danni subiti dal campanile, rivenienti da molto lontano nel tempo, dovette subire.
Nel 1829 l'Arcivescovo mons. Clarj (1823-1858) e, a distanza di quasi un secolo, il Sovrintendente ai Monumenti ed Opere d'Arte della Puglia e Molise, denunciano lo stato di degrado di tutta la fabbrica, ed in particolare di quello della torre campanaria, e sollecitano con insistenza sia l'Amministrazione Comunale sia il Parroco (Arciprete) a provvedere a quanto è indispensabile, onde evitare che il manufatto vada ulteriormente in rovina.
E' il Soprintendente innanzi citato ad essere molto preoccupato a causa della riscontrata probabile perdita dell'antico manufatto, tanto che con nota del 20 gennaio del 1913 cosia scrive al Sindaco:
«On.le Sig. Sindaco,
...la base del campanile, sulla piazzetta antistante l'ingresso della chiesa, è ridotta in cattivo stato e la scaletta interna del campanile stesso è in istato pericoloso.
Ho fatto redigere, da personale esperto della Soprintendenza, apposita perizia dei lavori più urgenti da farsi subito, inviandola al Competente Ministero per ottenere il contributo statale, previa delibera consiliare di finanziamento del contributo di Lire 400, cosa da farsi anche da parte del Parroco» [1] .
L'Amministrazione Comunale prende solo atto di detta richiesta, ma non può accoglierla se non nella misura di Lire 100 per l'anno in corso (1913) come per quello successivo [2] .
Ma tra il dire e il fare, come suol dirsi, c'è di mezzo il mare, e la disponibilità dichiarata di finanziare la ricostruzione, se pur nella misura indicata, resta lettera morta.
Tutti gli Enti, statali e no, vanno in coma profondo, che dura ben 9 anni, mentre il degrado generale del manufatto aumenta pericolosamente.
Commentiamo: farà la fine del campanile della fabbrica del Carmine?
E perché no! ...aver compagno al duol...!
Finalmente (1920) l'Amministrazione Comunale (che non ha ancora chiuso la pratica dei lavori di rifacimento delle capriate in legno delle navate della fabbrica), si rende conto dell'impellente necessità di promuovere tutto quanto è utile ad eliminare lo stato di degrado del campanile, che pur essendo Monumento Nazionale compete ad essa conservarlo perbene.
Ma l'esecuzione di opere di pubblico interesse, in particolare quelle relative al recupero dei manufatti di rilievo nazionale, incappa sempre nella rete burocratico-politica, che per un'Amministrazione Comunale priva di un esperto pescatore, che sappia come essa sia fatta e come disincagliarla dai fondali delle leggi e contro leggi, è difficile che si realizzi in tempi brevi.
E sì, lo Stato si vanta di avere un Monumento Nazionale ed il Comune (che non sa come spendere i suoi miliardi senza zero) deve conservarlo a dovere.
Nel contesto storico di questo capitolo ci prendiamo la licenza di una breve digressione, al fine di rendere con gradevole ironia la probabile pesantezza del lavoro, la quale tenga viva la curiosità di sapere del lettore, raccontando in maniera virtuale, corredata da vignette extra, alcune iniziative amministrative comunali, senza però minimamente stravolgere quanto realmente accaduto.
Sarà la fantasia, compagna inseparabile di un cronista (del quale prendiamo le vesti) a rendere un avvenimento di piccola o grande portata, come in questo caso, ad informare gli abitanti sullo svolgimento di alcune sedute consiliari inerenti alla circostanza, che si terrebbero nella sede istituzionale del Municipio, in Via Console Positano, nell'aula assembleare, a quei tempi arredata modestamente con l'uso di panche fornite dalla Congrega di S. Alberto e Donato (Carmine) e qualche sedia per il Sindaco, il Segretario Comunale e gli Assessori.
Gli attori del tempo, il Sindaco ed i vari consiglieri, che godono la visione di Dio, li ricordo con una doverosa prece personale e della comunità paesana.
Siamo all'inizio della sessione primaverile delle riunioni del Consiglio Comunale.
Da smaliziato cronista, di buon mattino, per non perdermi nessuna iniziativa di quanto avverrà, imbocco Via Carmine, dove la gabbia con l'usignolo dell'artigiano Domenico Stangarone è già esposta fuori della bottega e dalla quale il grazioso volatile lancia i suoi richiami primaverili, mentre l'estroso artigiano ha già
intrapreso il suo lavoro quotidiano.
Giunto dinanzi al portone del Municipio, noto che il bidello lo ha aperto e sta dando un mezza ramazzata ai 15 gradini in pietra che conducono al primo piano dell'ex Convento Carmelitano ove è sistemata l'aula consiliare.
Chiedo: c'è riunione consiliare? Si, tra circa mezz'ora!
Prima di raggiungere il mio posto, mi soffermo a guardare cosa avviene lungo la strada più importante del paese. Vedo dei ragazzi che con la cartella a tracolla, dopo aver dato uno sguardo alla vetrina delle signorine anziane dal cognome Lasorella, la quale li attira per le piccole leccornie esposte, che si ripromettono di comperare, o dopo essere passati da u L-pomm (soprannome del gestore di una piccola cartoleria) per l'acquisto di un pennino nuovo, corrono dopo aver bevuto un sorso d'acqua alla fontanina pubblica sita all'inizio del marciapiedi del palazzo Santoro, poiché dal campanile della fabbrica del Carmine la campana della scuola, suonata dal sagrestano, segnala l'inizio delle lezioni.
Dai locali abitazione a piano terra, osservo vari artigiani mettere accanto all'accesso domiciliare gli attrezzi del proprio mestiere.
Noto con furbizia che già qualche cliente si avvicina al calzolaio Ignazio Didonna, con domicilio in un locale in attacco all'ingresso dell'arco del palazzo ab antiquo di Vito Grazio Antonelli, rimarcando che il lavoro chiestogli non è stato fatto ad arte.
Appena il cliente va via, quello si segna con la croce, mugugnando:
«Incominciamo bene la giornata!!».
Anche per me la giornata incomincia con qualche sorpresa in più.
I Consiglieri sono quasi tutti presenti. Tutti vedono entrare nell'aula il Sindaco, che si siede accanto ad un tavolino coperto di tanti fascicoli relativi alla vicenda della urgente riparazione della chiesa ed in particolare della torre campanaria.
Il Segretario gli è vicino per fornirgli i documenti che devono essere comunicati ai presenti, costituenti l'Assemblea.
E' una seduta brevissima, durante la quale il Primo Cittadino, a giustificazione del tantissimo tempo trascorso senza che sia stata presa alcuna iniziativa circa la torre campanaria, in particolare dalle competenti Autorità Statali, poiché si tratta di Monumento Nazionale, comunica ai presenti che le dette Autorità non hanno mai dato risposte concrete per eliminare il segnalato deterioramento del manufatto.
Come non porsi la domanda: possibile che non ci sia chi fattivamente oggi operi perché il campanile non faccia la fine di quello definito orgogliosamente "La Cima di Noja"?
Il Sindaco comunica ai presenti di aver contattato l'on. Crollalanza, sottosegretario al Ministero dei LL.PP del Governo fascista, sperando di conseguire un insperato risultato positivo di contributo finanziario.
La seduta consiliare termina con le comunicazioni fatte dal Sindaco.
Non mi sfugge il ricordo che Noic‹ttaro, nei mesi di maggio, giugno e agosto è quasi sempre stata al centro di manifestazioni temporalesche, che i nonni chiamavano uragani o cicloni (tornado) e che alcuni anziani, denominati tagliatempo, dicevano trattarsi di donne o uomini infuriati.
Oggi è forse diverso? La storia continua! Così sbriciolo quanto avviene il 28 maggio del 1921.
Sono lungo Via Carmine per raggiungere la sede del Municipio per apprendere notizie extra circa i lavori di riparazione del campanile. E' un pomeriggio molto afoso con un sole un pò opaco, che d'improvviso scompare, mentre il turbinio di piccole trombe d'aria solleva la polvere e tutto ciò che si trova sulla strada. Nubi basse e cupe, prede di un vento impetuoso, si rincorrono a velocità pazzesca, solcate a tratti da potenti saette che le illuminano sinistramente, mentre violente scariche di acqua e assordanti tuoni investono tutto il paese, incutendo molta paura agli abitanti e a me, anche se sono al riparo dell'atrio dell'ingresso della sede municipale.
Ma come balena un lampo, cosio apprendo la notizia che il campanile [3] della fabbrica Matrice è stato colpito duramente da un fulmine, decimandolo e, quindi, rendendolo inservibile e soprattutto pericoloso.
Nonostante la pioggia, che ancora scende a catinelle, corro a visionare l'accaduto, rimanendone scioccato.
Convinto che l'indomani si terrà una riunione straordinaria dell'Assemblea Comunale, decido, quindi, di non mancare per apprendere quali iniziative si intendono attivare.
Con sorpresa noto che il portone della località è già aperto: in fretta vado ad occupare il solito posto. L'Assemblea è già riunita: si attende che entri in aula il Sindaco, che si presenta con un aspetto molto preoccupato.
Dichiarata aperta la seduta, legge con voce tremula il telegramma inviato a tutte le autorità nazionali e provinciali per informarle circa i danni patiti dalla torre campanaria a causa dell'attrazione di un potente fulmine:
Ministero Pubblica Istruzione
Sopraintendente Monumenti Bari
Prefettura Bari
Ufficio Genio Civile Bari
Ieri pomeriggio un fulmine colpì campanile Chiesa Matrice danneggiando positivamente cupola che è pericolante e case vicine. Ordinato Chiusura chiesa e vietato transito strada. Pregole inviare subito funzionari Genio Civile per constatazione e proporre provvedimenti sicurezza pubblica. Sindaco Raffaele Didonna.
La riunione finisce con la lettura del telegramma, sorprendendo tutti.
Il segretario informa i presenti che fra qualche giorno ci sarà una assemblea straordinaria per decidere sul da farsi. Da cronista attento e pignolo, prendere conoscenza dei tantissimi retroscena burocratici della vicenda è la cosa più semplice. Ma sono particolarmente sconcertato dal comportamento della burocrazia, fortemente ipocrita. Quando non vuole udire, altro non fa che rendere lo svolgimento della ingarbugliata procedura tecnico-amministrativa per la riparazione dei danni subiti dal campanile, dichiarati devastanti dal Comune e da concordi Enti statali, sempre più complicata e ipocrita.
Dopo aver amaramente preso contezza che il palleggiarsi burocraticamente l'approvazione dei lavori da farsi ed il loro finanziamento da parte del competente Ministero, si tratta di farsa vera, mi attrezzo per seguire quanto si decider‹ nella riunione annunciata, che si tiene il 21 giugno (data fatidica per il verificarsi di cicloni).
Puntualmente prima delle 9 del detto giorno sono presente dinanzi al portone d'ingresso del Municipio, notando con stupore che non solo il bidello mi ha preceduto, ma ha anche apposto sulla destra dell'ingresso un tabellone con riferimento all'oggetto della riunione che sta per tenersi: frutto di qualche buon conoscitore amministrativo dell'opposizione, che prevede come la vicenda andrà a finire.
Raggiungo subito nell'aula il posto consueto. Poco dopo vedo entrare nella sala il Sindaco con tutti coloro che sono tenuti a parteciparvi.
Prendo atto con ilarità e sgomento che mentre alcuni Consiglieri si siedono pesantemente su quelle vecchie panche, una di esse si rompe, facendo finire sul pavimento coloro che si stavano sedendo. Uguale sorte tocca al Sindaco: mentre si siede, la poltrona, per la vetustà, si sgretola, per fortuna senza danni alla persona.
Il Sindaco si fa più scuro in volto, pensando al ditterio degli Avi: «Dé -t - scanz - da - i - vasc - cadeut»!
Qualcuno commenta: lo zampino du - paponn (diavolo) non manca mai!
Quelli che sono finiti sul tavolato del palcoscenico osservano: sembra che a cadere siamo noi, non il campanile!
Tornata un pò di tranquillità, il Sindaco informa i presenti che sarà fatto tutto il possibile perché la burocrazia acceleri sia l'approvazione del progetto dei lavori di riparazione a farsi, sia la definizione dell'intervento finanziario di competenza.
Il prosieguo delle vicissitudini si rivela molto più amaro di quanto raccontato come quasi farsa, pieno di tantissime delusioni e liti tecnico-giuridiche.
Il governo dello Stato monarchico italiano passa nelle mani del Partito Fascista. Il Paese viene amministrato da altri personaggi.
Durante gli anni '23-'24-'25 si sviluppa una intensa corrispondenza con tutti i nuovi Enti statali competenti.
I personaggi che partecipano alla continuazione delle vicissitudini sono numerosissimi: quelli statali (Ministero LL.PP. e Soprintendenze alla Antichità e Belle Opere, Enti che approvano e disapprovano i vari progetti dei lavori di riparazione del campanile); quelli Municipali (i Podestà) alle prese con i fondi che che non ci sono; le imprese aggiudicatarie dei lavori, le quali disdicono l'accollamento degli stessi per ragioni pratiche di esecuzione; richieste da parte dell'impresa esecutrice dei lavori di numerosi indennizzi extra previsioni di spesa, a causa delle sospensioni dei lavori per la redazione di nuove perizie tecniche; il Direttore dei lavori che chiede all'Amministrazione Comunale la fornitura di conci di pietra nuovi, poiché non é possibile il previsto cuci-scuci di quei conci, che per la loro vetustà non sono più utilizzabili; il Parroco per la perdita delle parti del rosone e per la richiesta avanzata alla Direzione Generale dei Benefici Vacanti di un congruo sussidio su L. 4.500 per la rifusione del campanone danneggiato dal fulmine (vedi infra); e per finire, il Soprintendente alle Antichità ed Opere d'Arte di Taranto, il quale, il 29 agosto 1926, pur riconoscendo che non tutto è stato eseguito così come disposto dalla Soprintendenza, specie per quanto riguarda la cuspide, collauda positivamente (pro bono pacis) i lavori eseguiti, che da una spesa iniziale di Lire 1.500 è passata a 18.130, delle quali Lire 10.000 a carico dello Stato e Lire 8.130 a carico del Comune.
Note 1 Delibera n. 82 del 23 maggio 1913, vistata dal Prefetto il 12 giugno dello stesso anno, n.19524, Divisione I.
2 Il segnalato stato di degrado della fabbrica e del campanile, coperti di erbe parietarie e di piccoli alberi di fico, mi ha fatto ricordare un aneddoto raccontato dagli operai anziani che durante la campagna olearia venivano a lavorare nel trappeto di casa. In Noja c'erano due fratelli che avevano un asinello, ma non avendo cosa far mangiare all'animale, visto quanta erba era cresciuta sui manufatti in questione, decisero di portare l'asinello sulla zona del campanile per farlo sfamare. Ma come? Ed ecco che escogitano una trovata semplice ma infelice. Uno dei fratelli sale sul campanile e manda giù una corda che il fratello lega al collo dell'asino. Fatto questo, il fratello che s'era sistemato sul campanile inizia a tirare su l'animale, che, per la corda che si stringe al collo soffocandolo, apre la bocca mostrando i suoi denti, cosa che per il fratello che sta giù significa che l'asinello ride perché potrà finalmente mangiare qualcosa, per cui grida al fratello che sta sul campanile: «Tèir fr ' t , tèir ca u ciucc rei».
3 Quando la fabbrica era custodita dal sagrestano che collaborava con il Parroco, svolgendo anche la mansione di campanaro, usava canticchiare: «Son l'umil il pio sagrestan - ma sotto il campanil - mai manca pane e vin - cin cin, don din...».
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