CAPITOLO PRIMO
Prima di tutto è doveroso far sapere che Noja nel 1600 ha già il suo Ospedale.
Ciò s’apprende da quanto scritto sulle pagine di un involto di carte antiche, conservate nell’Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, inerenti tutti i Benefici laicali di Diritto Patronale, fondati in Noja dal 1517 al 1798 [2] .
In un documento del 1627, a p. 29 dell’incartamento dei detti Benefici, ho letto le notizie, che trascrivo testualmente, riguardanti l’Ospedale e facenti parte di un Beneficio.
In detto documento è scritto:
«…Don Marcantonio Russo (De Rossi), procuratore del Rev. sig. Giovanni Veneziano, della città di Monopoli, Rettore del Beneficio Laicale di Santo Spirito in Noja, possiede gli infrascritti beni e censi minuti, che rendono ducati 3 annui,
- una Cappella, fuori le mura de detta Terra
- in più possiede una Cappella, fuori de detta Terra, la quale è scoperta et ruinata, confinante coll’ Ospitale de detta Terra e la strada del Carmine ed altri beni privati, confina anche, col trappeto dell’Università de detta Terra e altri.
- Possiede, inoltre, due case foranie, con cortigli e pozzo d’acqua, sino a quando la Cappella è Ospedale di Noja.
I censi minuti dovuti dalla Confraternita del SS. Sacramento di Noja, per le case alla strada del Carmine, dov’è l’Ospizio, sono in perpetuo ducati 2,10…».
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Il manufatto in questione è quello che tuttora trovasi in Via Carmine di fronte a Via De Amicis e che conserva ancora sul portone d’accesso l’emblema gentilizio del rev. Veneziano (foto) donato alla Grancia dei Carmelitani Calzati, chiamati in Noja dalla Marchionessina Isabella Pappacoda in Carafa nel 1583 e venduto dalla citata Grancia, prima che fosse confiscato dallo Stato ad un certo abitante nojano dal cognome Dipierro, ex garibaldino, soprannominato a Pèu-p ed ora di proprietà degli Eredi.
Il trappeto dell’Università di Noja passa in proprietà del rutiglianese Francesco Didonna nella seconda metà del 1800.
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Precisato quanto sopra, riprendo a raccontare del presente lavoro, non senza aver prima stilato una breve retrospettiva sugli abitanti del paese, i quali, all’epoca, vivono così come vive la gran parte di quelli più poveri del terzo mondo, sfruttati al massimo nelle prestazioni di lavoro bracciantile dai membri della Corte dei Carafa nojani.
Basti pensare che, quando nel 1806 è soppressa la feudalità, il duca del feudo di Noja, Giovanni IV Carafa della Stadera, all’epoca vivente a Napoli, chiede un appannaggio retroattivo di 13.000 ducati, come se i poveri lavoratori delle terre fossero dei ricchi imprenditori.
Ciò dà luogo alla nascita di gruppi di briganti stazionanti nel “Trivio Pacifico” sulla Via per Casamassima-Cellamare (vedi mio volume “Toponomastica nojana” p. 22-23).
Note
2 Leggibili in formato PDF sul sito internet www. nojainpuglia. it.